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L’assistenza ai condannati a morte

E’ fatto comunemente noto che la Toscana fu una delle prime regioni al mondo ad avere, nel 1786, abolito la pena di morte. Va tuttavia ricordato che soli quattro anni più tardi, nel 1790, la stessa fu ripristinata per i cosiddetti “crimini eccezionali” come reazione alle inquietanti notizie provenienti dalla Francia e non solo.  Quando a Firenze, agli inizi del Ottocento, i magistrati del governo in carica pronunciarono le prime condanne capitali la municipalità si trovò in grave difficoltà. Come dare, operativamente,  seguito alle condanne visto che, assieme all’abolizione della pena di morte era stato smantellato anche l’interno “sistema” organizzativo? Esso prevedeva sia la presenza di un “carnefice” che l’operato di in un’istituzione che aveva il compito di organizzare le ultime ore di vita del condannato, il “povero paziente” come veniva chiamato in gergo, e della sepoltura del suo corpo straziato. La questione del boia fu risolta pragmaticamente con il conferimento di incarichi ad hoc a professionisti operanti in altri contesti urbani.  Più complicato si rivelò l’identificazione dell’istituzione di supporto. Venne interpellata la  Compagnia della Misericordia, una realtà cittadina autorevole da secoli protagonista nel settore delle “opere di carità” e delle sepolture, in particolare dei cadaveri dei “poveri abbandonati”.

Elenco dei giustiziati assistiti dalla Misericordia

Il provveditore dell’epoca, consigliato dai suoi fiduciari, accettò il gravoso incarico e sollecitò una stesura di uno specifico regolamento atto a disciplinare tutti i passaggi necessari della spinosa questione. Per poter sostenere le spese sia materiali (vitto, lumi, associazione della salma, seppellimento) che spirituali (preghiere e messe di suffragio) venne creata un’apposita “questua nelle pubbliche vie” affidata a un gruppo di quaranta capi di guardia, vestiti di nero con il cappuccio calato sul volto, che nei giorni precedenti all’esecuzione della condanna avevano il compito di girare per le strade di Firenze per chiedere alla popolazione delle “elemosine” in merito alla questione. La cifra riscossa veniva poi rendicontata e la parte rimanente, tolte tutte le spese vive, consegnata a condanna avvenuta direttamente alla famiglia del giustiziato o, in mancanza di questa, ai poveri della città.

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