logo matrice logo matrice

“Una zana grande per portare li amalati”. Il faticoso soccorso in spalla

Il ritrovamento di un mandato di pagamento, firmato nel 1577 dal provveditore Simone di Nunziato Santini a favore di Giovanni di Raffaello Guidotti per l’acquisto di “una zana grande per portare li amalati allo spedale” , ci dà l’occasione per soffermarci su uno dei mezzi di trasporto più antichi della Misericordia: la zana.

Va ricordato che uno dei servizi più noti della Confraternita della Misericordia di Firenze riguarda proprio il trasporto di feriti, o in altro modo sofferenti, dal luogo dell’incidente ad una struttura sanitaria. Talmente radicata è tale “opera di carità” che molti fiorentini, nel vedere o sentire un mezzo sanitario sfrecciare per le vie della città, esclamano: “passa la Misericordia!” riferendosi, in realtà, all’ambulanza in servizio, indipendentemente dalla sua appartenenza. Infatti, sin dalla sua fondazione, avvenuta oltre sette secoli fa, il trasporto dei “bisognosi” rientrava tra i servizi più richiesti dalla cittadinanza e questo sia in tempi di ordinaria amministrazione che in momenti di emergenza, sanitaria, politica o ambientale (esondazioni, terremoti ed altro).

Tuttavia, mentre nei secoli persisteva la necessità di intervento, grandi sono stati i cambiamenti nelle sue modalità. Tra i primi mezzi di trasporto di feriti e defunti figurano le cosiddette “zane”, ceste dotate di cinghie dorsali e portate a mo’ di zaino, usate principalmente in campagna per il trasporto di vari generi, alimentari e non.

Dette zane, chiamate anche “gerle”, erano composte da vari materiali e potevano assumere forme molto diverse fra di loro. La parte più bassa della zana consisteva, in genere, in una base di legno, tonda od ovale, per conferire alla cesta una certa robustezza; nei più dei casi la base era dotata di quattro “piedini” per renderla stabile nel momento del suo appoggio in terra. Dalla base lignea, opportunamente forata lungo i bordi, partiva l’intreccio che poteva essere di solo salice ma anche misto con altri materiali più o meno resistenti (legnetti, giunco, altre fibre vegetali, ecc.).

Alcune zane, più o meno alte e più o meno tondeggianti, al loro interno contenevano “un sedile dove sedeva il malato” per una sua maggiore comodità; altre erano provviste di una copertura, una sorta di coperchio o “arcuccio”, soprattutto quando la zana era usata per trasportare cadaveri, in particolare morti per annegamento, per celarli agli sguardi dei passanti.

Anche l’allestimento interno poteva cambiare notevolmente da zana a zana; molte erano foderate di stoffa, spesso “cerata” e quindi impermeabile, altre ancora risultavano “foderate di fuori di pelle nera”. Nel loro interno, soprattutto quelle più spaziose, potevano contenere “materassi” e/o “guanciali ripieni di penne d’oca”, di lana od altro, con rispettivi lenzuoli fatti su misura, per maggiore agevolezza del trasportato.

Anche il colore delle stoffe poteva cambiare: nere quelle per il trasporto funebre ed altri servizi gravi, turchine per servizi estivi, il trasporto di bambini o servizi “fuori porta”, rosso porpora durante l’epidemia di peste degli anni 1630-’33. In un caso, nei documenti d’archivio, si fa riferimento ad una “zana porta-feti in vimini, imbottita e foderata di incerato giallo”.

Le zane in generale, ma soprattutto quelle più ampie e allestite di tutto punto (copertura, materasso, guanciali), erano molto pesanti, anche senza “carico”, tanto che spesso il servizio doveva essere affidato a “uomini di fatica” di professione, i cosiddetti “porta”. Tuttavia, quando il peso risultava eccessivo anche per i più robusti, veniva usata una zana speciale dotata, nel suo fondo, di “una traversa di legno sorretta da due fratelli, uno a destra e l’altro a sinistra”.

Portare sulle spalle un bisognoso, anche se aiutato da altri, era faticoso e spesso anche difficile visto che chi eseguiva il servizio doveva celarsi il volto con la “buffa” e percorre strade scoscese, tanto che qualche volta gli stessi portatori diventavano, essi stessi, “vittime” del loro servizio come nel seguente episodio riportato in un Registro dei casi: 17 settembre 1819: “Giovanni Ferroni, detto Dianello, uno dei nostri porti, che era partito con altri porti per trasportare un cadavere con la zana, sdrucciolò e gli cadde la zana sulla gamba destra e gli fece uno sdruscio a una vena superiore e per cui perse molto sangue (…) e così fu trasportato all’ospedale di S. Maria Nuova.”

L’uso della zana per il trasporto di malati, feriti e cadaveri da parte dai fratelli e “porti” della Misericordia è documentato, attraverso le carte d’archivio, dal Medioevo fino alla prima metà secolo XIX quando altri mezzi presero definitivamente il sopravvento, anche perché nel frattempo la città era cresciuta notevolmente e con lei anche le distanze da dover affrontare con il bisognoso sul dorso. I primi divieti dell’uso della zana in ambito cittadino risalgono al 1810 quando, in una lettera indirizzata al Provveditore della Misericordia, la direzione dell’ospedale fiorentino più importante, quello di S. Maria Nuova, comunicava alla Confraternita che “l’uso della zana per recare i malati a S. Maria Nuova” non era più consentito.

Nel 1822, la stessa Misericordia decise di rinunciare, per motivi di decoro, all’uso della zana in relazione al trasporto dei defunti. Infatti, il 16 luglio 1822 “in occasione del trasporto di Angelo Bussotti, morto per essere caduto da una cateratta sul fiume fu, per la prima volta dall’esecuzione degli ordini del nostro signor Provveditore di non servirsi della cesta come in passato per trasportare i cadaveri (…)” usata “la bara con sei fratelli e un sacerdote per evitare il mormorio che veniva fatto in generale dal pubblico nel vedere andare a prendere i cadaveri con la cesta senza alcun distintivo ecclesiastico”.

L’uso della zana venne abolito definitamente introno alla metà del XIX secolo a favore dai cataletti a spalla e dei carri a trazione umana per arrivare, nel 1911, all’acquisto della sua prima ambulanza a motore. Ma questa è un’altra storia…